FINIRA' LA SCIENZA ?

 
    Un libro interessante, del giornalista ed editorialista della scienza John Horgan suggerisce che la scienza sia una impresa intrinsecamente o estrinsecamente finita e che stia anzi approssimando i suoi limiti: conosciamo gia' cio' che e' conoscibile e non potremo conoscere cio' che non e' conoscibile (1). E' un problema interessante e importante che merita una riflessione. In questa sede io trascurero' le problematiche sociali (i limiti derivanti dalla mancanza della volonta' politica di investire nella ricerca) e considerero' invece alcuni casi che mi sembrano dimostrare l'intrinseca finitezza dell'impresa scientifica. E' comunque importante considerare che la scienza, anche se avesse un limite invalicabile, non lo raggiungerebbe di colpo ma lo approssimerebbe gradualmente: i risultati delle ricerche diventerebbero sempre meno rilevanti e costerebbero sempre maggior investimento umano e materiale.
 
    La fine della scienza: limiti della materia indagata.
    1. Esistono discipline il cui oggetto e' intrinsecamente limitato: sono costituite piu' di dati sperimentali (osservazioni-descrizioni) che di teorie ed hanno come oggetto un campo chiaramente delimitato. Ad es. geografia, anatomia, tassonomia degli organismi pluricellulari animali e vegetali, etc. Ovviamente in questi campi cio' che e' stato scoperto riduce lo spazio abitato da cio' che e' scopribile e ad un certo punto avremo scoperto tutto cio' che c'e' da scoprire. In quasi tutti i casi considerati come esempi lo scopribile e' stato gia' scoperto e questo e' evidente quando si consideri il progredire delle nuove scoperte, che si rarefanno progressivamente nel tempo.
    L'anatomia umana e' un caso paradigmatico. Galeno conosceva gia' tutti gli organi del corpo dei mammiferi (almeno quelli di dimensioni visibili ad occhio nudo) e nessun nuovo organo macroscopicamente evidente e' stato scoperto da allora (II secolo d.C.). Sono state fatte, in realta', scoperte minori: ad esempio alcuni anni fa e' stato descritto un piccolo legamento presente nel collo che non era stato identificato in precedenza; ma questo e' soltanto un esempio dell'approssimarsi del limite della disciplina perche' e' una scoperta molto piccola e sporadica.
    Naturalmente l'anatomia umana e' stata estesa dalla microscopia ottica ed elettronica; ma anche queste discipline sono intrinsicamente limitate: ad un certo punto avremo (anzi in pratica gia' abbiam) un quadro estensivo dell'anatomia microscopica ed ultramiscoscopica di ogni organo e di ogni tessuto e allora non ci sara' piu' nulla da scoprire.
 
    2. Altre discipline indagano un oggetto intrinsecamente limitato ma che include problemi di complessita' infinita. Un esempio interessante di questo tipo di discipline e' dato dalla biochimica: molti processi biochimici di grandissima importanza sono intrinsecamente limitati: ad esempio i metabolismi sono costituiti da un numero finito di reazioni chimiche catalizzate ciascuna da un enzima e sono nella grandissima parte gia' noti. Possiamo dare una stima approssimativa della dimensione del problema: il genoma umano decodificato nell'anno 2000 contiene informazione per circa 30.000 proteine, gran parte delle quali sono enzimi. Di conseguenza le reazioni del metabolismo in tutto e per tutto non possono eccedere il numero di 30.000 e sono probabilmente un numero alquanto minore. La biochimica include pero' alcuni problemi che sono intrinsecamente infiniti (o comunque di dimensioni non concepibili): un esempio e' il problema dai possibili isomeri conformazionali di ogni singola proteina. Si osserva pero' che il problema infinito ha poi manifestazioni finite: cioe' e' impossibile misurare o calcolare l'energetica di tutti gli isomeri conformazionali della catena polipeptidica, ma soltanto pochissimi o al limite uno solo di essi e' effettivamente popolato. Tutti gli altri isomeri conformazionali esistono nel regno della teoria ma non nella realta'. Anche in questo caso quindi la conoscenza scientifica non si trova davanti una problematica infinita e sucettibile di essere indagata all'infinito: prima o poi finiremo per sapere tutto cio' che c'e' da sapere sulla biochimica e la disciplina sara' completa e conchiusa. Questo riduce queste discipline al precedente caso (1). Altri esempi di discipline che possiedono problemi o aspetti teoricamente infiniti ma in pratica finiti e limitati sono l'evoluzionismo (cfr. Monod, Il Caso e la Necessita', Mondadori, 1970); la chimica organica, etc.
 
    3. Vi sono poi discipline il cui oggetto e' intrinsecamente illimitato e quindi teoricamente capace di sostenere una ricerca scientifica all'infinito: ad es. cosmologia o fisica delle particelle (infinitamente grande e infinitamente piccolo). Non importa se la materia e' effettivamente infinita o e' soltanto troppo grande per potersi considerare finita. Qui il problema e' che sono finite le manifestazioni dei fenomeni considerati. Si consideri come esempio l'astrofisica: l'universo e' praticamente infinito ma noi possiamo investigarlo soltanto attraverso le radiazioni elettromagnetiche che arrivano sulla Terra dai corpi astrali; per contro il sistema solare e' esplorabile con metodi molto piu' numerosi (sonde spaziali) ma e' intrinsecamente finito. E' interessante osservare che in molti casi nei quali l'oggetto di interesse e' illimitato si incappa in limiti assoluti alla possibilita' di investigarlo (vedi oltre, al punto n. 4). Nel caso dell'astronomia e dell'astrofisica un limite assoluto e' dato dal fatto che la velocita' della luce non puo' essere superata e questo ci permette di esplorare soltanto certe finestre temporali di certi eventi (ad es. la luce di una stella che dista da noi 5000 anni luce diventa rivelabile sulla terra 5000 anni dopo essere stata emessa) e certe distanze spaziali (non possiamo costruire sonde da inviare al di fuori del sistema solare). In ultima analisi, anche in questo caso la disciplina ha un orizzonte limitato anche se questo limite non deriva dal suo oggetto di studio, ma dai limiti delle sue manifestazioni osservabili.
    E' interessante considerare in questa luce il caso della fisica delle particelle: le nostre concezioni sulla struttura atomica e sul legame chimico sono sostanzialmente stabili dall'introduzione della meccanica quantistica (1900-1930 circa). Molte informazioni sosno state ottenute mediante sincrotroni e ogni aumento di potenza dei sincrotroni corrispondeva inevitabilmente a nuove scoperte; ma da un certo tempo non e' piu' cosi' sia perche' le energie dei sincrotroni richiesti per esplorare le teorie piu' recenti sono praticamente inarrivabili, sia perche' le nostre nozioni di base sulla struttura della materia sono state costantemente confermate e sembrano vere e definitive. La meccanica statistica (come anche la termodinamica o la relativita') apparentemente e' tale come e' stata proposta e finora ne abbiamo avuto solo conferme, mai smentite: sembra che cio' che c'era da scoprire sia stato scoperto.
 
    4. Limiti assoluti dell'esistente. A meno di improbabili rivoluzioni Kuhniane, noi sappiamo che alcuni eventi non sono possibili. Ad esempio i principi della termodinamica pongono chiarissimi limiti a cio' che puo' verificarsi nel mondo. Si puo' affermare con certezza che alla luce delle nostre attuali conoscenze l'esistente e' per alcuni versi intrinsecamente limitato, e una volta noto il limite la conoscenza empirica non puo' procedere oltre.
 
    5. L'antidoto classico ai limiti della conoscenza, l'errore e la sua correzione, potrebbe a sua volta essere di applicazione non universale. Molti filosofi della scienza (ad es. Popper, Logica della Scoperta Scientifica; Kuhn, Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche) hanno sostenuto che la scienza e' una impresa illimitata perche' procede per successive correzioni e aggiustamenti. Ovvero, se oggi abbiamo una teoria o una ipotesi, anche valida, potremo sempre accorgerci domani che questa era sbagliata e sostituirla con una migliore. Poiche' il miglioramento delle teorie scientifiche e' potenzialmente illimitato, e' illimitata anche la scienza, anche quando il suo oggetto ha dei limiti. L'esempio classico considerato a questo proposito e' la teoria della gravitazione e del sistema solare: la cosmologia classica, Aristotelico-Tolemaica, e' stata sostituita da quella Copernicana, a sua volta riveduta da Newton. La teoria Newtoniana, che sembrava insuperabile, e' stata superata dalla teoria della relativita' di Einstein e non c'e' ragione di pensare che questa sia definitiva. Questa argomentazione, apparentemente irrefutabile ignora il caso di quelle discipline nelle quali il contenuto teorico e' modesto o nullo (ad es. l'anatomia, considerata sopra) e pecca di superficialita' in quanto manca di distinguere tra i due modi in cui una teoria scientifica puo' essere superata. Una teoria puo' essere superata in quanto effettivamente falsa, cioe' dimostrabilmente difforme dal complesso di fenomeni che si propone di descrivere; oppure puo' essere superata in quanto insufficientemente dettagliata e precisa. Ad esempio la cosmologia Aristotelico-Tolemaica e' falsa in quanto ipotizza che la Terra sia ferma mentre i pianeti ed il sole e la Luna le girano intorno, mentre l'esperimento del pendolo di Foucault ha dimostrato che la Terra ruota sul suo asse. Per contro la teoria Newtoniana e' una evoluzione, grande quanto si vuole, della teoria Copernicana, e non c'e' effettiva discontinuita' tra le due (anche se, naturalmente, c'e' differenza). La teoria della relativita', a sua volta, corregge errori della teoria di Newton (ad esmepio usa le trasformate di Maxwell-Boltzmann per sommare le velocita') ma non la rinnega interamente. Popper stesso fa una concessione a questa situazione, quando afferma che il destino piu' favorevole per una teoria scientifica e' quello di essere superata ma rimanere valida come caso particolare o approssimazione della teoria che l'ha superata e sostituita (e certamente la gravita' Newtoniana e' una approssimazione di quella Einsteiniana).
    E' ovviamente vero che la scienza nel senso inteso da Popper e da Kuhn, e limitatamente alle discipline piu' richhe di contenuti teorici (leggi naturali), e' infinita; pero' questa rimozione dei limiti costa due gravi ammissioni di principio. In primo luogo noi potremmo incappare nella teoria vera (anche se non potremmo mai essere certi che la nostra teoria e' vera) e quindi tutti i nostri tentativi di superarla o sostituirla potrebbero essere frustrati (e questo lo ammetteva anche Popper). In secondo luogo, ad un certo punto noi siamo condannati ad arrivare a teorie che, anche se non assolutamente vere, descrivono il loro oggetto con precisione tale che ogni evoluzione ulteriore ci apporta miglioramenti modesti. Ad esempio il difetto fondamentale piu' noto della gravitazione Newtoniana applicata al sistema solare era la cosiddetta precessione anomala del perielio di Mercurio: tutti gli altri movimenti planetari erano descritti con estrema precisione. L'applicazione della relativita' Einsteiniana risolve il problema: cioe' grazie ad Einstein anche la precessione del perielio di Mercurio diventa spiegabile: un risultato modesto se si considera l'enorme evoluzione concettuale implicita nella relativita'. Ovviamente la relativita' porta a predizioni e spiega misure che sarebbero altrimenti inspiegabili quando applicata ad oggetti esterni al sistema solare, per i quali l'approssimazione Newtoniana fallisce. Ma il problema e': oggi la relativita' appare molto soddisfacente e l'unico dubbio che possiamo nutrire e' la sua inconsistenza con la meccanica quantistica. Quindi sembra che si sia spazio per progredire ulteriormente.
 
 
    La fine della scienza: limiti della possibilita' di conoscere
    Si possono ancora identificare dei limiti della scienza che sono in realta' limiti della conoscenza umana, piuttosto che limiti del fenomeno considerato. Noi siamo animali che si sono evoluti per adattarsi ad un certo ambiente, quale siamo in grado di percepire con i nostri sensi. Il mondo alla scala delle dimensioni umane e' essenzialmente deterministico ed entalpico ed i fenomeni probabilistici ed entropici vi si intravedono solo occasionalmente. La selezione naturale e le mutazioni hanno plasmato il nostro cervello in modo tale da permetterci di "comprendere" o "spiegare" (e quando possibile dominare) i fenomeni che possiamo percepire: inseguire una preda, ripararsci dal freddo e dalla pioggia, sfuggire ad un predatore o a una catastrofe naturale. Se la nostra tecnologia e il nostro progresso ci portano in contatto con fenomeni diversi, che avvengono su scale dimensionali e temporale alle quali non siamo adattati, la loro comprensione ci risulta insoddisfacente.
 
    6. Perdita di significato della conoscenza. Noi conosciamo effettivamente e siamo in grado di conoscere e capire soltanto un certo intervallo di fenomeni prossimi alle nostre capacita' sensoriali. Quando usciamo da questo ambito la nostra conoscenza diventa formale: possiamo cioe' descrivere e predire attraverso teorie matematiche, ma l'oggetto della conoscenza ci sfugge. A volte crediamo di migliorare la nostra comprensione ricorrendo a metafore: ad esempio le onde elettromagnetiche sono onde solo nel senso che il vettore campo elettrico e campo magnetico della radiazione segue un andamento sinusoidale che ricorda la superficie del mare agitato. Ci accorgiamo della pochezza della nostra metafora quando incontriamo il dualismo onda particella nella meccanica quantistica, un fenomeno che le nostre equazioni spiegano ma che e' al di fuori della capacita' figurativa e razionale della nostra mente. Niels Bohr, uno dei padri della meccanica quantistica, diceva che uno scienziato a cui sembra chiara la meccanica quantistica non l'ha capita, ed intendeva proprio questo: che la disciplina e' totalmente aliena rispetto alla nostra mente, e che noi possiamo averne solo una comprensione formale, basata sulla matematica e constatare che la teoria predice il risultato dell'esperimento (del resto le ipotesi della scuola di Copenhagen sul significato della meccanica quantistica goffe e insoddisfacenti; e io credo che ipotesi del genere non siano ne' necessarie ne' auspicabili: l'evento trascende la nostra capacita' di raffigurarlo razionalmente ed e' meglio accontentarsi del suo formalismo matematico).
 
    7. Difficolta' nella comprensione degli eventi probabilistici. Il mondo esplorabile con i nostri sensi e' prevalentemente deterministico: gli eventi hanno cause e noi pensiamo di poter spiegare perche' una cosa avviene o non avviene. Gli scienziati dell'ottocente fecero del determinismo un dogma: la scienza deve poter spiegare l'esistente in modo deterministico, escludendo ogni influsso del caso. Ad esempio il grande fisiologo Claude Bernard (1813-1878) scriveva:
 
"Bisogna ammettere come un assioma della sperimentazione che negli esseri viventi come nella materia bruta le condizioni di esistenza di ogni fenomeno sono determinate in maniera assoluta. Questo vuol dire in altri termini che una volta conosciute e poste in essere le condizioni di un fenomeno, il fenomeno deve riprodursi sempre e necessariamente, a volonta' dello sperimentatore." [C. Bernard, 1865, Introduction a l'Etude de la Medecine Experimentale, p.109; traduzione mia]
 
    Purtroppo Bernard aveva torto: esistono eventi che non sono deterministici ma probabilistici e possono riprodursi o meno in modo casuale. Lo scienziato studia l'evento probabilistico osservando campioni molto numerosi: quando questo e' possibile, infatti, la probabilita' si trasforma in frequenza statistica. Sebbene l'uso di campioni numerosi consenta lo studio dei fenomeni probabilistici, la loro comprensione risulta ostica per molti: infatti i piu' trovano insoddisfacenti le spiegazioni statistiche e ritengono che sotto l'apparente natura probabilistica di un evento si nascondano cause deterministiche multiple e male identificate, tali che, se noi le conoscessimo potremmo trasformare la probabilita' in certezza deterministica. Questo e' vero soltanto per un certo tipo di eventi che possiamo definire a varianza riducibile, la cui variabilita' statistica diminuisce quanto piu' li studiamo e li classifichiamo. Ad esempio siamo in grado di spiegare una parte della varianza statistica dell'incidenza del tumore del polmone considerando una serie di fattori quali la costituzione genetica e l'abitudine al fumo. Nel caso degli eventi di questo tipo possiamo presumere una natura almeno in parte deterministica. Esistono pero' in natura eventi a varianza non riducibile, per i quali l'aumento delle nostre conoscenze non ci consente di spiegare la varianza: ad esempio la nostra conoscenza delle leggi sul decadimento dei nuclei radioattivi non ci consente di predire quale tra due nuclei dello stesso isotopo si trasformera' per primo. Non discutero' ulteriormente questo punto ma rimando il lettore interessato ad un mio saggio gia' pubblicato (A. Bellelli, Logica e Fatti nelle Teorie Freudiane, Antigone Edizioni, Torino, 2007)
 
    8. Esistono e vanno considerate le discipline impossibili, fatte di eventi probabilistici rari. I fenomeni probabilistici possono essere investigati soltanto su estesi campioni di eventi simili, sfruttando il teorema dei grandi numeri di Bernoulli (la probabilita' approssima la frequenza statistica). E' evidente che gli eventi probabilistici rari sono intrinsecamente non conoscibili o almeno non conoscibili nel dettaglio (quindi non esiste ad esempio una teoria della biologia o dell'evoluzione ed e' assurdo chiedersi se l'uomo ne sia un prodotto necessario o casuale). E' importante notare che questo non e' un limite del fenomeno naturale ma della nostra possibilita' di conoscerlo: per la natura non c'e' nessuna ragione per cui un evento non possa essere al tempo stesso probabilistico e raro.
 
    9. Significativita' del dettaglio; differenza tra l'evento e la sua descrizione. Ovviamente e' possibile raffinare costantemente e indefinitamente la precisione delle nostre osservazioni (e forse anche delle nostre teorie). Quanto questo e' significativo? La descrizione non deve e non puo' divenire uguale al suo oggetto e non si puo' pretendere neppure che diventi infinitamente precisa; al massimo sara' precisa fino a quanto e' desiderabile (e ad alti costi). La descrizione tassonomica di un animale o di una pianta non e' e non puo' essere identica all'animale o alla pianta o corrisponderle interamente: e' soltanto un concetto o un insieme di concetti correlati alle manifestazioni empiriche del suo oggetto. Per fare un esempio: un oggetto puo' pesare un kg e la sua descrizione puo' includere questo dato; ma la descrizione non puo' pesare un kg. Esiste evidentemente un limite oltre il quale non ha piu' senso pretendere la corrispondenza anche soltanto formale tra l'oggetto e la sua descrizione e questo e' un altro limite della conoscenza scientifica. Ovvero, non possiamo pretendere che la descrizione empirica dell'oggetto sia esaustiva e tale da coprirne qualunque manifestazione: ci sara' sempre qualcosa dell'oggetto che abbiamo omesso di descrivere o che non conosciamo o che non riteniamo meritevole di indagine. Possiamo immaginare che la scienza sia un continuo raffinamento della precisione delle nostre descrizioni, ma fino a quando questo raffinamento e' significativo? Un sasso e' un sasso e noi possiamo indagarne, ad esempio la composizione chimica; questa e' certamente conoscenza. Ma la composizione chimica sara' media; e' ancora interessante studiare ad esempio l'omogeneita' del sasso e scoprire che ci sono sottili differenze di composizione tra le sue parti? e' ancora interessante scoprire quali siano gli elementi presenti in traccia, come contaminanti? Qui si entra nel problema dello scopo della conoscenza scientifica e si deve distinguere tra cio' che e' precisione e cio' che e' inutile pedanteria.
 
    10. Il problema della coscienza (o della mente). La relazione tra mente e cervello o coscienza e cervello sembra essere una frontiera aperta della scienza: qualcosa non ancora scoperto, forse il problema supremo e illimitato della scienza. E' un problema molto peculiare e forse e' completamente mal posto: sappiamo molto della neurofisiologia e sappiamo abbastanza persino sul rapporto tra neurofisiologia e pensiero, percezione, emozione molte cose sono state scoperte gia' verso la meta' del XX secolo (ad es. con gli esperimenti sul correlato emotivo e razionale della stimolazione elettrica del cervello condotti pionieristicamente dal neurochirurgo W. Penfield). In questo caso pero' dobbiamo evitare di cadere in una trappola semantica che non ha nulla a che vedere con la scienza. La coscienza, la memoria e le altre funzioni cognitive sono esse stesse raccolte di concetti o di idee ed hanno la stessa natura della loro descrizione. In questo caso non cerchiamo un concetto che descriva (o corrisponda a) un oggetto ma un concetto che descriva (o corrisponda a) un concetto. Dobbiamo quindi chiederci: assodato che esiste la neurofisiologia ed esiste la coscienza, quale descrizione vogliamo di questi fatti o eventi? La descrizione scientifica degli eventi della neurofisiologia e' una mappa di neuroni che si eccitano o inibiscono secondo una certa sequenza spaziale e temporale (un "engramma"). La descrizione della coscienza e' la descrizione del correlato soggettivo di una condizione neurofisiologica. Puo' essere di piu'? Puo' essere una spiegazione deterministica di come lo stato neurofisiologico determini l'esperienza soggettiva? Forse qui c'e' un equivoco logico, perche' la descrizione della coscienza coincide con la coscienza stessa e si perde l'alterita' della conoscenza scientifica rispetto al suo oggetto.
 
    11. Problemi semplici e problemi difficili. I problemi e le domande che possiamo porci sulla realta' che ci circonda non sono tutti equivalenti dal punto di vista della difficolta' nel trovare le risposte. In alcuni casi possiamo vedere con chiarezza che alcuni problemi che abbiamo risolto erano piu' facili di altri e possiamo sospettare che la maggioranza dei problemi semplici sono gia' stati risolti mentre ci restano da risolvere i problemi difficili. Non intendo suggerire che un problema e' difficile perche' resiste ai nostri sforzi di risolverlo: questo sarebbe tautologico; intendo dire che alcuni problemi sono intrinsecamente piu' facili di altri. Ad esempio la terapia delle malattie infettive, dovute alla colonizzazione del nostro organismo da parte di virus, batteri, miceti o parassiti, si basa sulla ricerca di sostanze che siano tossiche per l'agente infettante ma non per il nostro organismo, che lo ospita: veleni selettivi. E' chiaro che la ricerca di un veleno selettivo e' tanto piu' facile quanto piu' l'organismo infettante differisce dall'organismo ospite per le sue caratteristiche metaboliche; e noi sappiamo perfettamente che i batteri differiscono molto dalle cellule che compongono il nostro organismo, mentre i miceti e i parassiti ne differiscono in misura minore. I virus, che in principio differiscono nella massima misura dalle cellule che costituiscono il nostro organismo, sono parassiti intracellulari che utilizzano in grande misura il metabolismo delle nostre cellule e che offrono quindi pochi bersagli alla terapia farmacologica. La chemioterapia antibatterica (gli antibiotici) e' stato un problema piu' facile (e risolto prima) della chemioterapia antimicotica, antiparassitaria o antivirale, anche se la capacita' dei batteri di evolversi rapidamente e di sviluppare varianti resistenti agli antibiotici impedisce la soluzione definitiva del problema terapeutico. Se noi introduciamo in questo esempio anche il caso del cancro, l'invasione dell'organismo da parte di varianti anomale delle sue stesse cellule, ci accorgiamo che questo e' il problema piu' difficile di tutti perche' l'invasore e' quasi identico all'invaso. Ovviamente, se i problemi semplici vengono risolti per primi e quelli difficili richiedono maggior tempo e maggior investimento, dobbiamo aspettarci una fase di diminuzione del progresso nella ricerca scientifica: sempre piu' sforzo e' necessario per risolvere i problemi residui. Al limite alcuni problemi potrebbero essere troppo difficili, cioe' non avere nessuna soluzione o nessuna soluzione soddisfacente.
 
 
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1: Horgan J. (1996) The End of Science
 
A. Bellelli (2007) Logica e Fatti nelle Teorie Freudiane, Antigone Edizioni, Torino.

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