RIFERIMENTI SULLA CRONOLOGIA DELL'EPIDEMIA DA SARS-COV-2 DEL 2020
una raccolta di appunti e links che uso per scrivere i miei articoli ma che potrebbe anche interessare ad altri

      Questa pagina web raccoglie alcuni links utili a ricostruire la storia e l'evoluzione temporale dell'epidemia da Sars-Cov-2 del 2020.

      Wuhan, Cina
      I primi casi di Sars-Covid-2 (nome attribuito pero' successivamente) sono stati segnalati nella citta' di Wuhan, capoluogo della regione dell'Hubei, in Cina, tra la fine di dicembre 2019 e l'inizio di gennaio del 2020. La malattia si presentava come una polmonite interstiziale piuttosto grave. Le fasi iniziali dell'epidemia sono ricostruite nel rapporto della WHO-China joint mission.
      La progressione dei casi in Cina, come riportata sui siti dello European Centre for Disease Prevention and Control o di world-o-meter era stata piuttosto lenta per le prime settimane di gennaio, per poi entrare invece nella sua fase di crescita esponenziale. Dai 265 nuovi casi registrati il 23 gennaio si passava a 472 il 24, 698 il 25, fino al picco massimo di 3915 nuovi casi diagnosticati il 4 febbraio.
      Il 23 gennaio 2020 furono decretate dal governo cinese misure restrittive severe per isolare il focolaio di Wuhan. Questa data precede il picco dei contagi giornalieri di 13 giorni e indica che l'epidemia ha risposto molto rapidamente alle misure di contenimento.
      L'11 febbraio il numero di nuovi casi giornalieri in Cina, 2035, si era quasi dimezzato rispetto al valore registrato nel momento di picco. Quel giorno pero' il governo cinese autorizzo' una variazione dei criteri diagnostici, registrando tra i nuovi casi giornalieri anche le diagnosi cliniche e non piu' soltanto quelle confermate con tecniche di diagnostica molecolare. Questo porto' ad un forte picco secondario tra il 12 e il 14 febbraio, che si era completamente riassorbito gia' il 15 febbraio, data in cui furono diagnosticati 2097 nuovi casi.
      Il picco del numero di casi attivi di malattia fu toccato il 17 febbraio con 58.747 malati censiti. Il ritardo tra il picco dei nuovi casi giornalieri e quello dei casi attivi e' una approssimativa indicazione della durata media della malattia.
      Nel mese di febbraio l'epidemia in Cina ha continuato il suo corso discendente e il 18 del mese si registro' un numero di casi quasi uguale a quello del 24 gennaio. L'intera fase epidemica, dal punto di vista dei contagi si era svolta poco piu' di un mese. Il numero di casi attivi, e quindi il rischio di contagio, rimaneva alto fino agli inizi di marzo; ma la fase discendente era ben delineata.

      Primi studi scientifici
      Nel frattempo erano stati effettuati molti studi scientifici sul virus. Il virus fu isolato la prima volta il 30 dicembre 2019 da un tampone di un paziente affetto e l'analisi genetica rivelo' che si trattava di un beta-coronavirus. Fu dimostrato che il virus era patogeno per gli animali da laboratorio e che veniva inattivato dal siero di pazienti convalescenti. Il genoma del virus e' stato sequenziato varie volte, la prima volta a Wuhan, ma poi da campioni isolati in vari altri paesi e si e' dimostrato che:
1) e' un virus di origine animale, derivante da un ceppo che infetta i pipistrelli. L'origine e' consistente con l'ipotesi che la trasmissione iniziale dall'animale all'uomo sia avvenuta in un mercato "umido" di Wuhan nel quale venivano venduti animali vivi, tra i quali anche pipistrelli, per il consumo alimentare;
2) i ceppi virali isolati sono tra loro geneticamente molto simili (sono stati finora sequenziati i genomi di oltre 100 ceppi virali);
3) la trasmissione inter-umana avviene mediante le goccioline di saliva (droplets) emesse dal paziente infetto con la tosse, che vengono inalate dalle persone circostanti.
      Gli studi epidemiologici hanno invece consentito di determinare: il tempo di incubazione (tra 5 e 14 giorni), il fattore di riproduzione R0 dell'epidemia (circa 2), la letalita' (inizialmente valutata al 2%), le fasce di rischio (la malattia e' molto piu' grave negli anziani che nei giovani; nei bambini e' lieve e la letalita' e' minima). E' stato inoltre stimato che almeno 2/3 dei casi risultano asintomatici; questo naturalmente fa salire il numero dei casi di malattia ma fa anche diminuire la stima della letalita'. Inoltre i casi asintomatici favoriscono la formazione di immunita' nellapopolazione senza passare attraverso la malattia.

      L'epidemia in Europa
      I casi in Europa e comunque al di fuori della Cina erano inizialmente molto rari, tanto da far dubitare che il contagio fosse improbabile al di fuori della regione di origine, forse per ragioni climatiche o di genetica delle popolazioni, ipotesi successivamente smentite. Il 29 gennaio a Roma fu ricoverata all'Ospedale Spallanzani una coppia di turisti cinesi affetti dalla malattia. Sebbene i due avessero viaggiato in Italia per circa una diecina di giorni, non furono segnalati contagi. Condizioni analoghe si erano verificate anche in altri paesi europei e, di conseguenza, il rischio per l'Europa era considerato molto basso, come riferito il 31 gennaio 2020 dal Direttore dell'Ospedale Lazzaro Spallanzani, Prof. Giuseppe Ippolito.
      Il 30 gennaio anche io scrissi un articolo sul Fatto Quotidiano per sostenere le tesi all'epoca condivise, ma che poi si rivelarono erronee. L'11 febbraio scrissi un secondo articolo per commentare l'avvenuto raggiungimento a Wuhan del picco dei contagi. All'epoca ero ancora convinto che la pandemia fosse una ipotesi remota, tanto piu' che, grazie anche alle coraggiose misure di contenimento messe in atto dal governo cinese, l'epidemia sembrava sotto controllo.
      Il 2 febbraio 67 italiani vengono rimpatriati da Wuhan e messi in quarantena nella struttura dela Sanita' Militare della Cecchignola, a Roma. Poi piu' nulla fino al 21 febbraio quando un paziente affetto viene ricoverato a Codogno e altri due a Vo' Euganeo. Nella prima fase dell'epidemia in Italia era piuttosto complicato raccogliere le notizie ufficiali e occorreva spostarsi tra vari siti ufficiali, dei Ministeri, della Protezione Civile e dell'Istituto Superiore di Sanita'. I dati ufficiali sono ora raccolti su una pagina web interattiva molto efficace, curata dalla Protezione Civile.
      Il decorso dell'epidemia nel milanese e in Veneto ha abbastanza ricalcato quello osservato a Wuhan, sebbene, per fortuna, su scala piu' ridotta. I primi casi avevano fatto pensare che la diffusione potesse essere limitata ipotesi poi smentita dai fatti, probabilmente perche', come dimostrato successivamente, i casi sub-clinici, non identificati sono numerosi e questo porta a sottostimare l'estensione del contagio. Il 25 febbraio auspicavo, sulla base dell'esperienza cinese una breve durata della fase esponenziale dell'epidemia, con riferimento ai soli focolai noti all'epoca e cioe' quelli della Lombardia e del Veneto. I nuovi casi giornalieri ammontavano all'eoca a 100-200, lo stesso numero che veniva registrato a Wuhan un mese prima; e poiche' a Wuhan il numero dei contagi giornalieri era gia' solidamente in calo, auspicavo lo stesso per l'Italia. Una pia speranza, come si vede, non basata su calcoli accurati ma su un solo dato precedente; o forse una specie di scommessa.
      Cosa accomuna e cosa distingue i casi di Wuhan e di Milano? Alcuni parallelismi sono evidenti sia dal punto di vista socio-economico che da quello epidemiologico. Le due citta', con la regione circostante, sono hubs commerciali e industriali importanti con reti di scambio estese; sono state entrambe sottoposte rapidamente a misure di isolamento severe; sono capoluoghi di regioni popolose ed estesamente interconnesse (la Lombardia e' la regione piu' popolosa d'Italia). In entrambe l'epidemia ha avuto un avvio iniziale piu' lento prima di entrare nella fase di crescita esponenziale. Di qui in poi i dati per la Lombardia mancavano, ma il quadro si e' successivamente delineato e almeno all'apparenza sembra seguire le linee sperate.

      I due paradigmi
      Visti gli eccellenti risultati ottenuti dalla Cina e dalla Corea del Sud, e quelli promettenti dell'Italia, l'Organizzazione Mondiale della Sanita' ha invocato il contenimento ad oltranza dell'epidemia.
      Le politiche di contenimento pero' hanno costi elevatissimi che molti stati sono restii ad affrontare, a fronte di benefici che potrebbero rivelarsi meno soddisfacenti di quanto sembri:
i costi economici del contenimento sono elevatissimi, sia per il rallentamento o il blocco di molte attivita' produttive, sia perche' lo stato deve supportare economicamente i lavoratori inattivi. L'Italia ha varato una prima manovra del costo di 25 miliardi di euro (corrispondenti a 50.000 miliardi delle vecchie lire, per chi ha difficolta' a fare un raffronto col passato su cifre di questa entita'), che sono tutti presi a debito e vanno ad accrescere il gia' enorme debito pubblico. Inoltre la ripresa delle attivita' produttive interrotte potrebbe rivelarsi difficile.
i costi sociali, piu' difficili da quantificare, sono comunque enormi: la sospensione delle liberta' costituzionali di movimento e di riunione; il clima di panico, che trasforma ciascuno nell'untore dell'altro (in Italia si sono verificati anche episodi di violenza); il disagio causato dal mantenimento di attivita' indifferibili (ad es. medici e infermieri) in un momento in cui alcuni servizi essenziali sono interrotti (i figli dei medici non vanno a scuola) e devono essere sostituti con iniziative estemporanee che richiedono il movimento di persone che dovrebbero invece rimanere isolate. La sospensione di diritti costituzionali e' prevista per casi gravissimi di pericolo pubblico, ma deve essere limitata nel tempo, e non sappiamo quanto tempo serva per contenere l'epidemia. Un sito web che raccoglie riflessioni e articoli importanti su questo tema e' quello del Gruppo Laico di Ricerca.
      Si sono quindi venuti a creare due paradigmi di azione: quello del contenimento ad ogni costo e quello attendista, del curare chi si ammala e limitare le misure contenitive. I due paradigmi ammettono strategie intermedie nelle quli il contenimento puo' essere piu' o meno rigoroso. L'Italia e' il paese che per ora adotta le misure contenitive piu' ferme (anche la Cina le aveva limitate ad alcune aree, mentre l'Italia le ha estese a tutto il territorio nazionale). La Gran Bretagna apparentemente intende invece adottare un paradigma attendista. Francia e Germania sono per ora su posizioni intermedie e un po' ondivaghe (la Francia ha tenuto il primo turno di una consultazione elettorale e sospeso il secondo. Roberto Buffagni ha analizzato gli socio-filosofici dei due paradigmi correlandoli con la tradizione storico-culturale dei paesi che li adottano. Io ho scritto invece un piccolo contributo per commentare le prospettive sanitarie della gestione dell'epidemia che il governo britannico si proponeva di mettere in atto e confrontarle con quelle messe in atto in Italia e in Cina. La mia stima dell'impatto dell'epidemia in assenza di misure di contenimento e' molto simile a quella pubblicata dagli epidemiologi dell'Imperial College di Londra. Il dato cruciale sta ovviamente nelle stime dell'attack rate dell'epidemia, e soprattutto della sua mortalita': quanto differisce la mortalita' dei due paradigmi. Queste stime sono sempre molto incerte e quetso crea un problema grande. Il pubblico, anche colto assume che le procedure di contenimento funzionino al 100% e che in assenza di queste il 100% dei cittadini del paese si ammaleranno. Queste idee sono estremamente ingenue: in realta' noi non sappiamo quante persone si ammalerebbero in assenza di misure di contenimento e di conseguenza quale percentuale di successo garantiscano le misure di contenimento. Gli epidemiologi dell'Imperial College di Londra hanno ipotizzato che in assenza di misure di contenimento sarebbe contagiata una percentuale della popolazione compresa tra il 60 e l'80%. Al di sopra di questi livelli l'immunita' di gregge prenderebbe il sopravvento e il rimanente 20-40 della popolazione sarebbe risparmiato. Questa stima e' teorica e assume che il 100% della popolazione sia suscettibile, ipotesi pessimistica perche' la variabilita' genetica della popolazione potrebbe includere molti individui parzialmente resistenti, ad esempio per varianti genetiche dei recettori cellulari utilizzati dal coronavirus per invadere le cellule (questo si verifica con molti virus; ad esempio varianti genetiche del recettore CCR5 risultano protettive nei confronti dell'AIDS). Uno studi recente ha stimato che per ogni caso clinico manifesto ve ne siano 8-10 clinicamente silenti. I casi clinicamnete silenti sarebbero contagiosi, sebbene in misura minore rispetto a quelli conclamati o gravi, ma sono molto utili perche' immunizzano la popolazione senza causare malattia. Nella mia analisi sul Fatto Quotidiano, io avevo ipotizzato per la strategia inglese il 70% di contagiati (45 milioni di persone) un terzo delle quali sintomatiche (15 milioni). I casi gravi sono, secndo tutte le statistiche, un decimo di quelli sintomatici (150.000) e su questi la mortalita' se e' disponibile una terapia intensiva risulta di un quinto (300.000 decessi attesi). Se la terapia intensiva non e' disponibile a causa del sovraffollamento degi ospedali la letalita' di questi casi puo' triplicare o anche piu' (fino a un milione di decessi possibili). Questi numerisono enormi ma si deve considerare che su una popolazione di 65 milioni di abitanti, il numero dei cittadini della Gran Bretagna, al tasso di mortalità annuale normale di poco superiore all'1%, si verifcano ogni anno 650.000 decessi.Il tasso di mortalita' nell'anno dell'epidemia passerebbe quindi dall'1% all'1,5% nel'ipotesi piu' ottimistica o al 2,5% in quella piu' pessimistica, e queso senza considerare che la mortalita' normale e quella dovuta all'epidemia colpiscono in prevalenza le stesse classi di eta' (gli anziani) e si sottraggono resiprocamente le vittime. Se si confermasse la stima di un rapporto di un decimo tra i contagiati e i pazienti clinicamente malati, le stime cambierebbero in vantaggio del metodo attendista: per la Gran Bretagna sarebbero attesi al massimo 6 milioni di malati e i decessi risulterebbero tra 120.000 e 400.000.
      Analizzare l'esperienza di Wuhan alla luce del paradigma inglese non e' facile perche' date le misure di isolamento adottate e' difficile stimare con certezza la numerosita' della popolazione esposta. Se si considera la sola citta' di Wuhan, su una popolazione di 11 milioni di abitanti si sono registrati circa 65.000 casi di malattia (incidenza=0,6%) e circa 2.800 decessi (mortalita'=0,025%). La letalita' della malattia (decessi/malati) e' risultata pari al 4,3%. Assumendo, dalla stima pubblicata da Shanan et al., che per ogni caso di malattia si siano verificati nove casi inapparenti l'incidenza e la letalita' risultano 6% e 0,43%. Se queste stime fossero vere, e se non si fosse applicata nessuna misura di contenimento (metodo "inglese") si sarebbero potuti verificare circa 7,7 milioni di contagi (il 70% di 11 milioni), un decimo dei quali sarebbe sfociato in malattia (770 mila casi) ed avrebbe causato 33.000 decessi, con una mortalita' dello 0,3%. Tenendo conto che la mortalita' annuale ordinaria, al di fuori del tempo dell'epidemia e' di poco superiore all'1% della popolazione, il metodo cinese nell'anno dell'epidemia registra una mortalita' complessiva (ordinaria + dovuta all'epidemia) di poco superiore all'1%, quello inglese dell'1,3%. La differenza tra i due approcci, pero' potrebbe essere ancora piu' piccola, per due ragioni: in primo luogo la stima di incidenza e mortalita' del metodo inglese assume che il 100% della popolazione sia suscettibile e trascura variabili ambientali che potrebbero forse interrompere l'epidemia (ad esempio l'arrivo della primavera se la probabilta' di contagio e la sopravvivenza del virus nell'ambiente risentono della temperatura o dell'umidita'); entrambi questi fattori potrebbero ridurre l'incidenza del contagio e della malattia. In secondo luogo il metodo inglese protegge la popolazione negli anni a venire, grazie all'immunita' acquisita dalla larga maggioranza, mentre il metodo cinese lascia la popolazione esposta in caso di reintroduzione del virus. Da ultimo, il calcolo qui presentato e' stato condotto utilizzando i dati di letalita' registrati in Cina; in Europa, a parte l'Italia, la letalita' al momento sembra inferiore a quella cinese: Cina (totale) 4%; Italia 8%; Spagna 2,1%, Francia 2,3%; Germania 0,3%; Gran Bretagna 3,5% (calcolate sul numero dei malati diagnosticati, non sul numero totale dei contagiati).

Bibliografia
1) Lo studio della London School of Hygiene and Tropical Medicine (autori: Davies et al.).
2) Lo studio dell'Imperial College di Londra (autori: Ferguson et al.).
3) Lo studio di Lancet sulla letalita' della malattia (autori: Ferguson et al.)
4) Il punto di vista del punto di vista del CIDRAP (autori: Lipsitch, Hosterholm et al.).
5) L'infezione genera una immunita' dovuta ad anticorpi specifici (Rapporto joint mission WHO-China; Long et al. Nature Medicine 2020); il siero dei convalescenti cura il Covid-19 (Ahn et al. 2020).